La prima stagione di Severance mi aveva convinto fino a un certo punto. Mi piaceva l’idea della scissione, mi piaceva l’estetica corporate weird e il livello tecnino, ma mi mancava un pezzo per comprendere davvero quello che avveniva: che cosa fa davvero Lumon? Perché si prende tanto disturbo a creare un sistema così complesso? Solo per proteggere qualche segreto aziendale che potrebbe benissimo tutelare con delle clausole NDA? E come può essere credibile tutto quel contesto grottesco e ritualistica da culto? L’impressione che mi rimaneva come sospetto era che Severance fosse assurda per il gusto dell’assurdo, ma senza una vera spiegazione in-universe.
La seconda stagione mi ha dato la risposta che cercavo. Lumon non ha solo inventato la procedura di scissione, ma mira al suo perfezionamento totale, con l’esperimento Cold Harbor. E l’obiettivo finale è l’eliminazione di ogni forma di dolore dalla vita di tutti. Grazie alla multiscissione si può fare in modo che il proprio io cosciente originario non viva una sola esperienza spiacevole, perché queste saranno vissute tutte dalle sub-identità scisse (lasciamo da parte per stavolta il dilemma sull’identità delle altre persone così create). Ecco che cosa giustifica l’assetto pseudoreligioso e il culto della personalità del fondatore: la promessa di una vita di sola pace e piacere. Chi non vorrebbe vivere così?
Solo che questa costruzione scricchiola già a vedere l’esperienza del protagonista. Mark ha perso la moglie in un incidente, e poco dopo decide (o viene convinto a) lavorare in scissione, così da separarsi dal suo dolore e non vivere costantemente nel lutto. Solo che così facendo, in realtà Mark vive ogni momento cosciente nel lutto, perché si priva del tempo per elaborarlo. E così quelle persone che potrebbero decidere di usare la scissione per superare indenni esperienze spiacevoli e dolorose: dentista, parto, viaggio, e così via. Rimuovendo tutte queste dal bagaglio di esperienze, viviamo forse più sereni, ma stiamo vivendo in modo completo?
In Westworld, la serie di fantascienza più filosofica dal 2000 in poi (vedremo se Severance saprà prendersi il titolo), c’è una riflessione simile, che però parte dalla direzione opposta. Nelle prime due stagioni, il dilemma fondamentale è quello della consapevolezza degli host, gli androidi programmati per intrattenere i visitatori del parco. Gli host subiscono spesso violenze e traumi, che vengono poi rimossi dalla loro memoria per essere reimmessi nel parco alle condizioni di fabbrica. Ma quando alcuni di questi vengono interrogati dopo un trauma, e gli viene spiegato che perderanno il ricordo delle loro perdite (spesso oltre alla violenza subita, assistono alla morte brutale dei familiari), una risposta ricorrente è che non vogliono dimenticare, perché il dolore è tutto ciò che rimane dei cari che hanno perso.
Il discorso più completo in questo senso è quello di Dolores nel quarto episodio della prima stagione:
The pain, their loss… it’s all I have left of them. You think the grief will make you smaller inside, like your heart will collapse in on itself, but it doesn’t. I feel spaces opening up inside of me, like a building with rooms I’ve never explored.
Oltre a Dolores, il cui nome assume un signficato ancora più evidente in questo contesto, la frase viene ripetuta in altre situazioni anche dagli altri due protagonisti princpali della serie, Bernard e Maeve.
This pain is all i’ve left of them
È interessante anche notare che nella piramide della coscienza elaborata dai programmatori degli host (prima Arnold e poi il dr Ford) la memoria sta alla base dei passi successivi. E successivamente è sempre Ford ad affermare che la sofferenza è un tassello fondamentale di quel processo di risveglio della consapevolezza che procede non più come una piramide ma come un labirinto: un viaggio all’interno, non verso l’alto.
Memoria, dolore: esattamente gli ingredienti su cui Lumon interviene con la scissione.
Tutti abbiamo avuto brutte esperienze, tutti vorremmo dimenticare traumi e lutti. Ma possiamo davvero essere individui completi senza di essi? Anche scansando la narrazione consolatoria secondo cui le cose belle sono belle per contrasto rispetto a quelle brutte, può la soppressione dei ricordi dolorosi garantirci una vita piena e soddisfacente? Siamo davvero noi, privi delle ferite, delle voragini, delle nuove stanze nella nostra mente (anche questo è un parallelismo eclatante con quello che vediamo in Severance, in cui ogni stanza è un’esperienza dolora diversa) che il dolore crea?
La vogliamo davvero, la fine del dolore?
Qualcosa di simile si trova anche in Dylan Dog, nella storia "L’onda Theta" scritta da Luigi Mignacco e disegnata da Riccardo Torti, pubblicata sul Dylan Dog Oldboy 29, dove l’inquilino di Craven Road resta vittima dell'espertimento di un carcere di massima sicurezza, che mira a trasformare, con l'uso di realtà virtuali e cancellazioni della memoria, i detenuti più pericolosi in cittadini modello....