Vediamo se riesco davvero a fare un post al mese per parlare dei libri letti. Già al secondo mi stavo facendo scivolare via l’occasione, ma ho deciso di mettermici d’impegno. Quindi ecco quelli di febbraio.
Il primo è un libro di un mesetto fuori stagione, perché avevo iniziato a leggere Hogfather già a gennaio, quindi un po’ oltre le feste di fine anno. Questo romanzo si colloca nel Mondo Disco di Terry Pratchett, di cui ho letto troppo poco e troppi anni fa, ma nel quale riconosco alcuni personaggi ricorrenti, come la Morte e sua nipote Susan. In questa storia nello specifico, la quest è di “salvare il natale” (o meglio: hogswatch) ripristinando il ruolo dell’Hogfather (che ho coperto in italiano essere stato adattato come Babbo Maiale, che torna benissimo) che è scomparso in circostanze misteriose. Mentre la Morte impersona il semidio mancante consegnando doni ai bambini casa per casa, Susan si occupa di investigare sulla sua sparizione. Nel frattempo qualcosa si è destabilizzato e spuntano ovunque divinità di vari fenomeni naturali, che contribuiscono al caos generale. Come nella tradizione di Terry Pratchett, la scrittura è ironica ma non vacua, c’è parecchia satira e humor, e ogni tanto escono fuori concetti sorprendentemente profondi, come la necessità di credere in Babbo Natale/Maiale. Alla fine mi dispiace non leggerne più spesso, mi sa che dovrò rimediare. Voto: 8/10
Avevo preso Alien Virus Love Disaster quando è uscito (pubblicato da Zona 42), un qualcosa come sei anni fa, e finora se n’era rimasto lì. In un momento in cui ero più incline a leggere storie brevi ho pensato che forse era anche il caso di iniziare, e quindi mi sono messo a leggere questa raccolta di Abbey Mei Otis. Non ero sicuro di cosa aspettarmi (o forse lo avevo saputo al momento dell’acquisto ma mi sono dimenticato) e devo dire che mi ha sorpreso abbastanza. I racconti sono tutti abbastanza assimilabili alla fantascienza ma ci sono discrete sfumature weird, soprattutto per come elementi estranei e stranianti sono inserite in contesti riconoscibili. Difficile tracciare un filo unico per descrivere l’intera raccolta, ma si tratta di storie abbastanza quotidiane in cui compaiono elementi di distorsione, a volte surreali a volte paradossali, ma sempre affrontati con meticolosità. La scrittura è molto efficace e diversi incipit mi sono rimasti impressi. Per certi versi ha delle affinita con Jagannath di cui parlavo qualche mese fa, e anche con l’ultimo di questa lista. Voto: 7.5/10
Ho letto Malotempo, ultimo romanzo di Veronica Galletta, senza aver letto il precedente Pelleossa (entrambi Minimum Fax), con il quale compone una dilogia (per ora). Entrambi sono ambientati nell’immaginario ma plausibile paesino siciliano di Santafarra, il primo negli anni 40 e questo una ventina d’anni dopo. Il fatto di non aver letto il primo libro, a quanto mi ha detto l’autrice (a cui ho fatto da relatore per una presentazione) mi ha messo nella condizione di non avere in mente un’immagine “idealizzata” del protagonista, che in Pelleossa era un ragazzino speciale e talentuoso, che impara il valore dall’arte da uno scultore del paese, e va in cerca della sua carriera. Vent’anni dopo, quel ragazzino ha una famiglia a Palermo, una vita ordinaria e ha piegato la sua arte alle necessità mondane; lo scultore è morto, e il suo funerale è l’occasione di tornare al paese e riscoprire il mondo da cui proveniva. Ma a differenza di quello che ci si potrebbe aspettare, non è un romanzo nostalgico e consolatorio. Il protagonista anzi appare indolente e vigliacco, incapace di fare i conti con ciò che è cambiato nel suo mondo anche quando gli viene sbattuto in faccia. Non è più speciale, e invidia quelli che sembrano avere invece trovato una loro dimensione pur nell’ordinarietà della vita. Ci sono anche altri temi, che intrecciano le famiglie e la politica, l’industria e l’ambiente, e non a caso la storia procede come un conto alla rovescia verso il terremoto del 1968. Passano le generazioni, ma quel senso di smarimento di quando ti volti indietro e sono passati vent’anni e non sei la persona che ti eri ripromesso rimane sempre lo stesso, a quanto pare. Voto: 7/10
Ancora racconti con l’ultima raccolta pubblicata da Pidgin, Tranquillità assoluta. Come dicevo sopra, queste storie condividono un’imprevista affinità con alcune delle raccolte weird che ho letto ultimamente, come Otis e Tidbeck. Antonio Francesco Perozzi scrive racconti della provincia, spesso borgate della periferia romana (per quanto ne capisca io della geografia di quelle zone), con personaggi che sono un po’ degli emarginati, non la livello di disperazione ma comunque situazioni e storie ben lontane dal racconto borghese tipico. Non è tanto la condizione economica a fare la differenza quanto l’incasellamento in una situazione (lavorativa, familiare, sociale) da cui non c’è via d’uscita, anche quando letteralmente se ne allontanano. A tutto questo si aggiunge poi un elemento dissonante, al limite del grottescho, che di solito ha a che fare con la presenza in qualche forma di insetti/invertebrati. Come locuste giganti, tizi che cammianno sull’acqua, gente che fa la muta, ragazzi che si drogano succhiando il sangue. Questi elementi assurdi non sono però il centro delle storie, sono elementi casuali e privi di importanza, in quanto del tutto naturali, e rendono tutti i racconti piuttoso stranianti. Probabilmente la definizione più corretta per questa antologia è slipstream, ma la ritengo molto adatta anche a chi legge normalmente weird/horro. Voto: 7.5/10